L'enigmatica scrittura dell'Indo
A cura di C. Lupini
Un'oscurità completa regna su questa scrittura
rinvenuta su sigilli e lamine di rame provenienti da Harappa (Punjab) e
dal delta dell'Indo. Questa scrittura giunse fino in Mesopotamia
evidentemente attraverso attività commerciali durante la prima metà del
III millennio a.C.
La brevità delle numerose iscrizioni rappresenta uno dei più grandi
ostacoli per la decifrazione; non v'è accordo neanche sul numero dei
segni: alcuni studiosi ne contano 400, altri soltanto 150. Per lo più si
suppone che essi siano costituiti da una mescolanza di ideogrammi e
segni fonetici, cioè propriamente segni sillabici.
Si cimentarono nel difficile compito della decifrazione Meriggi e poi
Hrozny ottenendo scarsi risultati. Hevesi addirittura tentò di
dimostrare dei rapporti tra l'antichissima scrittura dell'Indo e la
scrittura dell'isola di Pasqua, nell'estrema parte orientale
dell'arcipelago polinesiano; la somiglianza è impressionante.
La scrittura dell'Isola di Pasqua è conservata su un
certo numero di tavolette di legno scoperte fin dal 1870. Purtroppo già
a quell'epoca nessuno degli indigeni era più in grado di leggerle. Il
numero dei segni è circa di 500. Essi sono disposti sulle tavole in modo
che ogni linea a cominciare dalla seconda sta capovolta rispetto alla
precedente, così che per leggere la tavola questa doveva essere
capovolta dopo ogni linea.
E' molto dubbio fino a che punto possa in realtà parlarsi di una lettura
delle tavole, cioè di uno scritto che abbia un senso o sia espresso
mediante suoni, e che contenga la narrazione di avvenimenti storici o
canti religiosi o altri argomenti. E' possibile che le tavole servissero
da mezzo mnemotecnico per ritenere nella memoria un verso, una frase o
una formula magica.
Nonostante l'indubbia somiglianza è prematuro, secondo Metraux,
affermare una parentela tra le due scritture, anche se ciò non si può
escludere del tutto.
Se consideriamo che l'India ha esercitato da sempre una certa influenza
sull'Asia sudorientale (basti considerare i prestiti linguistici del
sanscrito in thailandese e malese) anche in epoche più antiche, e che la
terra d'origine delle lingue austronesiane viene identificata proprio
con la regione agricola dell'Asia sudorientale, non dovrebbe stupire il
fatto che qualcosa appartenente ad una delle culture dell'India antica
si ritrovi così lontano dalla terra d'origine.
Gli austronesiani inoltre erano marinai abilissimi; la loro
dispersione nell'oceano Pacifico conobbe diverse fasi:
Formosa (4000 a.C:), le Filippine (3000 a.C.), Timor (2500 a.C.),
Sumatra e le Marianne attraverso la Micronesia e la Polinesia
occidentale (1200 a.C.), la Polinesia centrale (200 a.C.), le Hawai e
l'isola di Pasqua (300-400 a.C.).
Purtroppo neanche i recenti lavori del tedesco Bartel e il ricorso ai
calcolatori elettronici sono riusciti a penetrare il senso dei questi
segni che forse non costituiscono nemmeno una scrittura vera e propria,
ma un sistema complesso di immagini che simboleggiano una situazione, o
un rituale che poteva essere riprodotto da quella gente semplicemente
quardando le "istruzioni" contenute nella tavoletta.
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