Laura: centro e fulcro dell'anima del Petrarca
A cura di C. Lupini
L'opera fondamentale in volgare mai realizzata dal Petrarca, il
Canzoniere, fu lo specchio più puro dei suoi intimi sentimenti umani,
della sua nostalgia, dei suoi ideali di bellezza e di armonia, delle sue
contraddizioni, del suo oscillare fra le paure medioevali e del suo
desiderio spasmodico di possedere la bellezza terrena.
Si tratta di una raccolta di trecentosessantasei componimenti poetici,
di cui trecentodiciassette sonetti scritti quasi tutti per Madonna Laura
e distinti in Rime in vita e Rime in morte di Madonna Laura.
Fu nella chiesa di S. Chiara di Avignone che Francesco Petrarca vide per
la prima volta Laura, la sua ispiratrice, e la amò da allora per tutta
la vita. Laura fu forse una De Noves, sposa ad Ugo De Sade: pare che
visse realmente. Di Laura è stato detto che è, finalmente, dopo le
astrazioni dello Stilnovo, una donna reale. E lo è senza dubbio se si
tratta della donna esteriore. La donna angelicata ha abbandonato il suo
piedistallo, per discendere tra l'erbe ed i fiori e persino, lasciate le
vesti, tra le chiare acque della Sorga.
Quello che soprattutto attrae il Petrarca è l'atteggiarsi della donna a
spettacolo armonioso di bellezza fisica e spirituale come in una tela
del più soave Rinascimento, mentre la natura compie il quadro con le sue
armonie di aure, di acque, di fiori. Perciò la "visione" di Laura tocca
le sue massime altezze artistiche solo dove il quadro è completo di
tutti e tre gli elementi, anche di quello naturalistico, come nella
famosa canzone "chiare fresche e dolci acque".
Ora,
parlare del sentimento di un poeta che cosi rappresenta la sua donna,
come di amore nel senso genuino dalla parola, è almeno fuor di tono.
Bisogna parlare, piuttosto, di "contemplazione amorosa". Il Petrarca,
del resto, mostra di aver chiara coscienza della qualità di questo suo
amore e non si sazia di dipingerne la soavità, per cui il pianto non è
che una forma di dolcezza. In un intero sonetto, anzi, tende a
rappresentarci questo suo stato di amante felice anche nell'indifferenza
o nella freddezza della persona amata. Se non che l'anima del Petrarca
non può esaurirsi qui.
Accanto a queste note di soave lamento vi sono piu accorate note di un
dolore che fa passare al poeta "angosciose e dure le notti", dolore che
gli dà assidua stanchezza della vita, e quindi il desiderio di morte che
lo coglie persino in mezzo alle visioni di "Chiare fresche e dolci
acque" dove, improvvisamente, l'apparizione serena, fantasiosa di Laura
tra le acque ed i fiori ricadenti a nembo sbocca in due versi
inaspettati: "date udienza insieme alle dolenti mie parole estreme".
Laura, a sentire il poeta, era assai vana della sua Bellezza si che il
vageggiarla la faceva "aspra e superba" e avrebbero dovuto piacerle,
dunque, i verseggiati elogi dell'amante. Ma di lei disse l'amareggiato
Petrarca "che non curò già mai rime né versi".
Questa indifferenza era, sembra, una finta ché, dopo morta, Laura cambiò
opinione. Al Petrarca, però, premeva soprattutto acquistar fama per sè
di poeta ottimo e, bisogna dire, che anche per mezzo di Laura voleva
conseguire il lauro.
Nel disegno o sogno della sua vita Laura aveva l'ufficio di farlo
coronare in terra come poeta e di farlo coronare in cielo tra i beati:
amante disperato, il Petrarca, ma non altrettanto disinteressato. Laura
aveva dato e dava abbastanza, al poeta, anche se non corrispondeva
almeno apertamente e concretamente alle sue disperate suppliche. Infatti
Laura, tanto per naturale onestà d'animo quanto per segreta e superiore
benevolenza verso il poeta, non gli cedette. Gli procurò, invece, ma
questa volta senza volere, un altro grandissimo beneficio: nel 1348
morì. Da tempo il Petrarca aveva parlato del "bel viso dagli angeli
aspettato", ed è vero che a lui capitò con Laura quel che a Dante
accadde con Beatrice: il poeta non sente veramente sua l'amata se non
dopo la morte e scopre compiutamente la sua perfezione e grandezza solo
quando sì è liberata dal peso del corpo. Quando Laura è in cielo il
Petrarca la sente tutta sua, fuori da ogni pericolo: salve sono la sua
fama, la sua anima e nulla di impuro, ormai, si potrà mischiare al suo
amore. Non più tentazioni sensuali, non più disappunti e gelosie, non
più caduta e peccato. Ora è soltanto del poeta e di Dio. Non si amamo
divinamente che le donne lontane e mai viste o le donne morte, come
provò Dante. Le poesie piu appassionatamente profonde, più limpidamente
affettuose che il Petrarca abbia scritto sono quelle in morte di Laura.
Finché era in vita egli poteva temere la dedizione di lei; ora che è
tranquillo e sicuro del nuovo possesso spirituale, può anche far
confessare a lei morta di essere stato corrisposto.
Per anni ed anni si è lamentato delle ripulse e delle crudeltà di Laura;
ora che essa è morta la costringe a dire che, a dispetto di ogni
apparenza, anch'essa lo amò. Lo amò con eguale ardore ma non volle far
conoscere il suo amore e soffrì pur di salvare l'onore a sè ed
dell'amante. In vita, dunque, volontariamente acerba; in morte quasi piu
innamorata di lui. In questo modo il poeta salvò la vena poetica e la
pace dell'anima, ed infine, generosa giunta, anche l'amor proprio
maschile.
Il Canzoniere, dopo questa rivelazione, commuove un po' meno, ma siccome
la vittoria del poeta è legata a una tanto grave perdita, la sua fama di
martoriato poco ne soffre. Ma, se la postuma cofessione di Laura
risponde a verità, bisognerebbe forse compiangere lei, ancor più del
poeta, perché non ebbe neanche il conforto di manifestare con sguardi e
parole il suo amore.
In questa singolarissima vicenda di un amore impossibile, egualmente
vivo in due cuori, ma da una parte troppo taciuto e dall'altra fin
troppo pubblicato, il maggior martire non è, come tutti credono il
Petrarca, bensì la silenziosa Laura.
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